Corrispondere alle aspettative

Questo congresso arriva quasi ad un anno esatto dall’inizio della pandemia e del primo lockdown. Quando tutto il mondo si è ritrovato confinato in casa, ad esporre sui balconi messaggi quali “andrà tutto bene” o “ne usciremo migliori”.  Mese dopo mese abbiamo iniziato a riconoscere quanto quella sfida fosse molto più complicata di quanto potessimo immaginare.

Il momento storico che sta vivendo il mondo sportivo mette letteralmente i brividi (e non mi riferisco al clima gelido di questi giorni). Mette i brividi perché oggi siamo -almeno qui- pienamente consapevoli di giocarci tutto.

Siamo consapevoli di essere stati colpiti al cuore, da un virus che ha negato i presupposti fondanti dell’essere associazione, ossia “stare insieme”.

Ci giochiamo tutto sapendo di avere già perso tanto, troppo.

Perso tempo in discussioni surreali e spesso inutili.

Perso occasioni per fare scelte più coraggiose.

Per chiarire anche a noi stessi cosa siamo o per raccontarlo agli altri.

Cosa è “di interesse nazionale” per UISP? e come dice Gabriele, cosa per noi è preminente?

Abbiamo perso anche degli amici e dei compagni di strada.
Purtroppo non soltanto nelle collaborazioni che abbiamo visto interrompersi, nelle ASD che abbiamo visto combattere per non scomparire… ma abbiamo visto anche la perdita vera e propria di amici e di dirigenti senza i quali è difficilissimo oggi  immaginare la ricostruzione.

Siamo consapevoli che tutto è in gioco. Forse per tenere stretto questo pensiero, questa consapevolezza, dovremmo immaginarci nel febbraio del ’45 (sperando che non sia invece quello del ‘44): noi siamo metaforicamente li.

Ci siamo detti e ripetuti che i raffronti con la guerra non siano particolarmente felici, ma sono purtroppo calzanti.

Vi chiedo  però di evocare questa immagine tragica per ribaltarla in un pensiero felice: spostiamoci col pensiero nell’imminente dopoguerra, nella primavera della ricostruzione, in quel momento quantomai fecondo per la storia di questo paese  iniziato il 25 di aprile. Quello in cui si ridisegnano i confini, i perimetri, in cui nascono nuove istituzioni in risposta a nuovi bisogni.

La UISP è nata lì.

C’era bisogno di noi allora, c’è bisogno di noi oggi.

Abbiamo visto tutti quanto le scelte operate a diversi livelli di Governo, tanto nella prima quanto nella seconda fase dell’emergenza sanitaria, ci abbiano consegnato una lacerante sconfitta per il mondo sportivo: i DPCM, le discussioni attorno ad essi, gli articoli ed i servizi televisivi hanno rivelato una concezione preistorica dello Sport sul piano culturale prima che politico. Il ruolo già marginale dell’educazione fisica nei percorsi formativi e didattici nelle istituzioni scolastiche è stato ulteriormente tradito dalle ordinanze di contenimento del virus. Non possiamo dimenticare che non solo palestre o piscine, non solo lo sport di contatto, ma tutte le attività motorie sono state colpevolmente confinate nell’insieme delle pratiche pericolose, esattamente come bar o le discoteche. 

Già l’assenza totale della parola Sport nel rapporto Colao della scorsa estate era un ulteriore segnale, cui si aggiunge, in questi giorni la sorpresa e lo sconcerto a fronte di un Governo privo di un ministro allo Sport.

Non voglio essere pessimista: in oltre 70 anni di storia questo paese ha quasi sempre scelto di abdicare in favore del Comitato Olimpico tutte le proprie competenze, tanto di indirizzo quanto di controllo in materia di sport.

E’ un peccato originale del nostro ordinamento, una distorsione ingiustificabile, costosa ed insostenibile da correggere.

Oggi, come in un gioco enigmistico -in realtà abbastanza semplice- abbiamo il dovere di unire i puntini ed osservare il disegno complessivo.

Dopo questa sconfitta culturale e politica abbiamo il dovere di costruire la riscossa della nostra idea di Sport quale parte integrante di un sistema di welfare avanzato.

Abbiamo il dovere di difendere e riaffermare il Diritto al Movimento ed il Diritto al Gioco, per tutti anche se a condizioni nuove, coerenti col contrasto alla diffusione del virus, questo e i prossimi.

Per organizzare la riscossa, per evitare che l’opera di ricostruzione sia nei fatti una restaurazione , anche noi abbiamo bisogno di evolverci.

Di adattarci al nuovo contesto. Di intercettare i bisogni e di corrispondere alle aspettative.

Chi vive questa grande organizzazione, dal custode dell’impianto sportivo al dirigente nazionale, conosce la distanza fra le parole dei congressi e la realtà di tutti i giorni.
E’ questo spazio, questa distanza, la dimensione della sfida. 

Un lavoro quotidiano di coordinamento e di mediazione fra i diversi livelli dell’associazione, fatta di fermezza e duttilità, di eventuali transigenze formali ma di intransigenza sostanziale. Che esigerà nuovi strumenti ed un’organizzazione differente per essere adeguata alle sfide.

Ci è richiesto un lavoro enorme, molteplice, vario.

Voglio rivolgere un ringraziamento a tutti voi: a chi mi ha scritto per incoraggiarmi, per congratularsi, chi per darmi suggerimenti, chi per propormi osservazioni critiche. Quella fase non finisce oggi ma dovrà perdurare per tutto il mandato. Ve lo chiedo per favore. Ci servirà. Mi servirà.

Ringrazio chi mi ha onorato di citazioni, come avvenuto ieri al congresso in Lombardia, all’interno di una discussione a cui non ho avuto il piacere di partecipare ma il cui eco, in queste settimane, mi è arrivato -mi perdoneranno gli amici oltre il Po- come qualcosa di assolutamente incomprensibile. Nonostante la rete abbia accorciato le distanze confesso -e me ne scuso- di non aver intercettato il cuore dei dibattiti che hanno animato gli altri congressi, in particolare quest’ultimo. Lo dico senza alcuna ironia o polemica, ma perchè mi interessa.

Mi interessa perchè quando mi accorgo di non capire gli argomenti de “gli altri” mi sorge il dubbio, forte, che possa succedere anche il contrario, e che “gli altri” possano non cogliere o fraintendere i miei, di argomenti. E che la discussione rischi di non funzionare.

Attraverso questo appuntamento democratico – che avrei auspicato più vivace e competitivo anche in Emilia Romagna- abbiamo tutti avuto l’occasione, per dimostrarci più liberi e meno indulgenti: liberi di dire quello che pensiamo, di dirlo prima e di dirlo chiaro.

I nostri congressi, se hanno ancora un senso (io credo di si), a questo servono. A chiarire le idee, a prendere posizione, a dire apertamente quello che si pensa, ad assumersene la responsabilità. Individualmente e collettivamente.

Anche per questo ho già ringraziato Carlo per la sua disponibilità e per il contributo che ha portato alla nostra discussione congressuale e penso sia giusto ringraziarlo anche oggi.

Giocare a capirsi, evitando i non-detti ed i lunghissimi giri di parole per non dire chiaramente dove si voglia realmente andare, con chi, o ancora per omettere impegnative dichiarazioni circa il come e il quando.

Affrontare questo percorso congressuale all’interno dell’emergenza sanitaria e della sua evoluzione è stato un lavoro faticoso rispetto al quale non mi sento soddisfatto.

Per esempio ho ricordi bellissimi dei congressi di quella che all’ora era la Lega Ciclismo (quella che ho frequentato di più). Ricordo riunioni di ore, con delegati che avevano studiato e dedicato tempo a produrre documenti, proposte di modifica, fatto riunioni, discusso, mediato. Un momento che abbiamo rivissuto solo in parte durante questo anno difficilissimo, ritrovando persone appassionate e riunioni partecipate… Da li penso dovremmo ripartire. Perchè stiamo perdendo l’abitudine al confronto.

Personalmente, ve ne siete accorti, ho usato questo congresso (anche a costo di far sorridere qualcuno) per sperimentare strumenti e piattaforme diverse per fornire elementi di discussione e parlare con quante più persone possibili. Ho elaborato così il documento programmatico che vi ho proposto, sforzandomi di volta in volta di essere sempre più esplicito, più chiaro e meno equivoco ed invitando tutti i miei interlocutori a fare lo stesso.

La più importante delle innovazioni che vi chiedo, votando oggi, di sostenere è che si operi immaginando che tutto possa essere oggetto di rivisitazione e di discussione, che nulla o quasi possa essere pre-destinato o pre-determinato. Dobbiamo mettere “sul mercato” dei bisogni delle ASD e dei territori tutte le competenze che fino ad oggi erano garantite.

Dobbiamo accorciare la distanza fra i vertici e la base.

Discuteremo di criteri per condividere un metodo. Perchè quando il tragitto è lungo, pochi centesimi di grado di deviazione possono cambiare irrimediabilmente la parabola che si era immaginata.

Questo, per noi emilianoromagnoli, significa davvero capovolgere il futuro. Sgombrare il campo, cambiare prospettiva, riorganizzarsi dalle fondamenta. 

Le presidenti ed i presidenti che sono appena intervenuti vi hanno mostrato senza equivoci   una UISP diversa: oggi, dopo la pandemia, non si tratterà più di negoziare sulla base della consistenza numerica radicalmente mutata, ma sulla base della credibilità politica -che non è una parola astratta- bensì la capacità di aprire sfide nuove nel rapporto con il sistema sportivo, con le istituzioni, all’interno delle reti sociali e del Terzo Settore.

Da domani mattina ripartiamo da loro, dai territori, come abbiamo -come ho- tentato faticosamente di fare nella composizione della lista di consiglieri e dei delegati che verrà sottoposta alla vostra votazione.

Le nostre regole e le nostre consuetudini non sono invenzioni della natura ma sono prodotte dalla nostra cultura. Possiamo tenerle, ma possiamo anche – in qualsiasi momento- decidere di cambiarle!

Anche se mette i brividi, in questo giorno di febbraio ed al congresso nazionale di metà marzo, ne abbiamo facoltà.

Pubblicato da Enrico Balestra

Dio è in ogni luogo, ma io ci sono già stato... Almeno due volte!

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